Nel mondo c’è chi succhia latte, chi sangue e chi beve vino”
«La luce della luna irrompeva nella camera di Adam pronunciando strane ombre dai contorni mostruosi».
Dormiva profondamente e i lineamenti del suo giovane volto abbozzavano un lieve sorriso. Se ne stava immobile e rannicchiato in posizione fetale con una spessa coperta fin sopra le tempie, ignaro di cosa sarebbe accaduto da lì a poco in una delle strade di Brasov.
In quella fredda notte del 1852 le vie erano deserte, invase dall’odore di legna umida già arsa, proveniente dai comignoli delle case.
Capitolo I
Il senza sangue.
L’urlo della locandiera interruppe il silenzio della notte.
«Aiuto! Qualcuno accorra. Aiuto!»
Il corpo inerte del figlio del fabbro giaceva in strada nel vicolo adiacente alla locanda. Bianco nel volto e ormai privo di emozioni il giovane Elia fissava il cielo con occhi cristallini privi d’espressione.
Passarono alcuni minuti quando la gente si riversò in strada. Alcune donne erano ancora in vestaglia con panni indossati velocemente. Era più forte la voglia di non farsi i fatti propri che impregnarsi carne e ossa dal freddo tagliente.
Voci: «È il figlio del fabbro…».
«Povero ragazzo, perdere la vita così giovane».
«Mi dispiace per il padre, è un brav’uomo».
«Com’è bianco… chissà di cosa è morto»; passarono un paio d’ore e apparve una carrozza e scesero due gendarmi e un’ispettore a seguito.
Era Gorg un tipo robusto e basso con una cicatrice sullo zigomo destro, indossava un folto cappotto scuro. Alcuni cittadini lo salutarono ma lui non ricambiò.
Cosmin uno dei due gendarmi aveva gli occhi rossi, ancora assonnato sbadigliava continuamente e tra uno sbadiglio e l’altro gridò alla gente di tornare nelle abitazioni.
Poco dopo la folla iniziò a rintanarsi. Alcuni si misero incollati dietro le finestre per osservare l’evolversi della vicenda.
L’ispettore si accovacciò vicino al cadavere che era steso a dorso nudo e fece caso a un buco nel braccio sinistro ed intorno al foro un grosso ematoma: «Casmin, vieni a darmi una mano mi serve un oggetto tagliente» ordinò Gorg.
«Ispettore ma che cos’è quel buco?» chiese il ragazzo.
«È quello che voglio scoprire. A quanto pare la ferita non si è rimarginata» rispose l’ispettore.
Il gendarme gli passò la spada e Gorg poggiò la lama sul braccio facendola scorrere così in modo da provocare un profondo taglio.
«Come sospettavo, non sanguina!» esclamò. «Questo sfortunato ragazzo non ha più sangue nelle vene» ribadì.
Felix, l’altro gendarme, una ragazzo alto e smilzo gonfiò le guance. Schifato ebbe qualche conato di vomito che placò guardando altrove.
«Caricatelo sul carro e portatelo in gendarmeria» ordinò Gorg.
Capitolo II
Adam.
I fracassi dei carretti risvegliavano Brasov dalla gelida notte criminosa. Alcuni abitanti ignari del fatto riprendevano lentamente le loro attività quotidiane.
Adam non voleva saperne di alzarsi, si stirava nel letto e il pensiero di dover andare alla bottega d’arte non gli andava a genio.
«Fratellino alzati ho farai tardi» vociò Adelina.
«Ora mi alzo, ancora un po’».
«Muoviti, altrimenti il bottegaio ti farà impastare colori tutto il giorno!»
La dolce Adelina ha iniziato a prendersi cura di Adam da quando avevano perso anche il padre. Lavorava come fornaia e riuscivano a mantenersi e di sicuro a portare pane fresco tutti i giorni.
Adam vent’anni appena compiuti lavorava e imparava l’arte della pittura già da cinque anni. Teodor l’anziano bottegaio era un severo maestro ma molto generoso: dava la possibilità ai giovani di Brasov di lavorare e imparare il mestiere…
«L’estate era alle porte»
In una calda mattina il primo cavaliere della casata di Bankfort montava il suo scuro e lucido destriero, al passo per il bosco di Greanwood, era di ritorno verso il castello dopo essersi recato al paese per consegnare un’importante lettera al vescovo di Northweeds, quando ad un tratto incontrò un viandante zoppo e coperto fino alla testa da un mantello sbrindellato e sforacchiato un po’ ovunque;
«Lord mi scusi se interrompo il suo nobile cammino. Può donare qualcosa ad un pover’uomo senza averi e ne cibo?» domandò con voce flebile il viandante.
«Cosa vi è capitato alla gamba? Quale sventura nella sua vita?» chiese commosso Edward di Bankfort.
«La gamba è un presente lasciatomi dalla schiavitù mio Lord» e ribadì «può fare un’offerta anche la più misera? A lei non costa nulla e può cambiare la mia sventurata giornata».
Il cavaliere scese da cavallo e si avvicinò al vagabondo tenendo la mano destra ben salda sul manico della spada, nel pomolo era incastonato un rubino di grosse dimensioni e alle due estremità della guardia due zaffiri, grandi anch’essi.
Il viandante mise fuori mezzo volto dal cappuccio per osservare il luccichio emanato dai gioielli.
«Posso darti mezzo scudo reale e l’unica cosa che ho con me quest’oggi», il cavaliere si avvicino e tese la mano con la moneta.
«Di meglio non posso chiedere mio Lord» rispose gioendo il vagabondo che nel mentre si avvicinò e con un movimento fulmineo prese la mano destra del cavaliere tirandolo a se e velocemente con l’altra estrasse una lunga lama da sotto il mantello e gliela conficcò nel cuore.
Il cavaliere morì prima ancora di aver toccato il suolo.
Il vagabondo trascinò il corpo fino dietro ad una fratta e lo denudò, indossando le vesti e la spada del cavaliere prese il cavallo e partì al trotto nel bosco.
Il bandito era in sella sullo scuro destriero fischiettando un motivo e brandendo di tanto in tanto l’elegante spada, facendola girare vorticosamente in aria, quando all’improvviso vide una giovane donna camminare nel bosco, la donna era ben vestita e aveva in spalla una sacca:
«Hey tu» vociò il viandante e aggiunse avvicinandosi con il destriero «che ci fa una donna sola nel bosco?»
«Mi sono persa mio Lord» rispose, mentre il bandito scese da cavallo la donna disse:
«Magari può aiutarmi a ritrovare la strada? Dovrei tornare in paese», l’impostore disse sghignazzando; «Posso accontentarti donna!» e la donna affermò; «Mio Lord è un po’ buffo vederla con delle vesti più grandi di lei» e replicò; «Non ho mai visto un paladino portare una lama nella cintura è alquanto stravagante». La donna si accorse del sangue intorno al foro della giacca lasciato dal coltello durante la colluttazione e il nomade rispose con tono seccato; «Zitta donna, che ne puoi sapere tu. Sono tornato proprio quest’oggi da una dura battaglia, le scorte di cibo erano finite e ho dovuto digiunare per molte settimane».
L’impostore si avvicinò alla donna e blaterò: «Però donna, non sei niente male», la donna indietreggiò intimorita.
«Vieni qui dove vai?» La fanciulla scappò nel bosco ma dopo qualche metro il vagabondo la afferrò da dietro facendola cadere e la donna gridò;
«Lasciami, lasciami!» Il vagabondo la bloccò montandogli sopra e le tirò su le vesti, e lei dimenandosi a un tratto disse: «Aspetta, fermati non facciamolo così».
«E come ti piacerebbe farlo?» disse il bandito con la bava alla bocca. La donna si liberò e gli montò sopra alzando le vesti, avvicinò il sacco che aveva con se e lo mise a portata di mano, il bandito era in estasi e chiuse gli occhi, proprio in quel momento la donna infilò la mano nella sacca ed estrasse un lungo e affilato coltello e glielo conficcò nell’addome, le grida funeste dell’uomo echeggiarono per il bosco e disse digrignando: «Maledetta sgualdrina!».
L’uomo rimase a terra con il coltello piantato e la donna si alzò e si ricompose poi si chinò e gli prese la spada ed gli estrasse il coltello dal ventre e lo utilizzò per rimuovere le pietre dall’elsa.
Ancora vivo e sofferente il bandito gli disse; «sei una ladra assassina!».
La donna rimosse le pietre e voltandosi verso l’uomo disse; «So portare bene le mie vesti a differenza di te buffone che non sei altro» e andò via.
La fantasia non ha uno scopo e priva di quell’utile
che determinate persone tentano di appiccicargli.
Capitolo I
La rivelazione
“Un semplice impiegato ministeriale” è ciò che ero.
Sveglia alle sette, colazione, mi vesto ed esco per andare al lavoro, la solita routine di un semplice impiegato quale io sono.
Sempre di corsa per andare in ufficio e passarci otto ore della giornata, otto lente e infinite ore.
Ero in preda ad un attacco di depressione, per uscirne mi ero prefissato di mettermi a fare altro nella vita ma prima di cambiare lavoro dovevo reinventarmi.
Una mattina mi svegliai e non so bene se era un sogno o quello che mi era capitato il giorno precedente:
Stavo da solo a una mostra di arte contemporanea c’era molta gente e osservavo con interesse le varie opere esposte, pensavo a che vita facevano gli artisti e come se la passavano economicamente parlando, ad un certo punto mi soffermai su un’opera in particolare dal titolo “Le ali di Icaro” era una tela tutta bianca che aveva nel mezzo una linea nera verticale al centro di due ali colorate in blu, rimasi a lungo ad osservarla poi feci nuovamente un giro e per ultimo prima di uscire tornai di fronte a quell’opera.
Uscii dalla galleria con qualche crampo allo stomaco, mi fermai al bar più vicino per mangiare un toast, ero seduto all’interno del bar difronte al vetro che dava sulla strada e osservavo la gente passare, osservavo a come era vestita e come camminava, c’era chi camminando ondulava le braccia ampiamente e chi sembrava tesa, chi vestito a lustro con borsa tattica da lavoro impiegatizio e chi più spregiudicato, stetti a guardare mentre mangiando i crampi mi erano passati, mi pulii la bocca e andai in bagno, chinandomi sulla tazza senza sedermi per non attaccarmi chissà quale batterio e mi sforzai un po’ per farla, le gambe erano tese non riuscivo a concentrarmi mi stavo stancando ma dopo qualche minuto la feci.
Fatto tutto uscii dal gabbiotto del gabinetto e mi diressi davanti al lavandino per lavarmi le mani mentre guardavo fisso il mio volto nello specchio, ed a un certo punto sentii che mi stavo sollevando da terra, non ci credevo, vedevo la mia immagine riflessa allo specchio spostarsi verso l’alto, lentamente, continuavo a salire ormai mi ero sollevato quasi mezzo metro da terra e per timore mi aggrappai al lavandino per non salire ancora, ero impressionato, c’era una forza dal basso che stava premendo per sollevarmi.
Attesi un ritorno alla normalità, stavo pensando a che faccia avrebbe fatto la persona che sarebbe entrata nel bagno dopo aver visto la scena, ero rimasto sospeso a mezzaria e cominciai a spostarmi guidandomi con delle piccole spinte, prima dal lavandino puoi sul muro spostandomi fino ad arrivare alla porta del gabbiotto e mi chiusi dentro in attesa che tutto fosse passato.
Qualcuno entrò in bagno e bussò alla porta, mi ero ben chiuso e dissi «occupato!», stavo iniziando ad agitarmi quando all’improvviso iniziai lentamente la discesa verso terra, tirai la catena per simulare l’uso del bagno e uscii lentamente con il timore che sarebbe ricapitato da lì a poco, ma non accadde, usci dal bagno e dal bar e me ne andai.
Capitolo II
Alle prese con Walter e gli amici.
Il mio amico ed eclettico Walter, mi aspettava a casa per una cena con amici, era sera e stavo a corto di carburante mi fermai ad un self service notturno e scesi dalla macchina per inserire venti euro nella macchinetta misi il carburante e ripresi alla giuda verso la casa di Walter dove mi attendevano per la cena.
«Ragazzi ciao» dissi entrato in casa.
«Cosa hai preparato di buono?» domandai a Walter.
«Una cosa semplice, pollo al cherry con riso basmati» rispose Walter.
«Buono!» io dissi.
Erano presenti Walter, Andrea ed Alex, Walter era una architetto, suonava la tromba e dipingeva non da meno stava studiando fisica era un tipo eclettico come ho già detto, Andrea era un medico chirurgo e aveva la passione per la vela e poi c’era Alex uno scultore e pittore anche quotato, ci sedemmo a tavola per mangiare.
Finito il pasto ci aggiustammo sui divani a parlare;
«Allora Walter che cosa combini?» chiese Alex.
«Sto lavorando a un grosso progetto comunale e sto esponendo alcune opere nella galleria “Arteviva” che sta nel centro storico. E tu stai facendo qualche mostra?» chiese Walter ad Alex;
«Le mie opere sono impacchettate per essere spedite a Parigi, farò una mostra il 15 marzo in una grossa galleria la “Réflexions Art Gallery”.
Tutti elogiavano le loro attività, tutti erano impegnati su più fronti diversamente da me che mi sentivo una nullità.
«E tu che fai Antony? Lavori sempre al ministero?» mi chiese Andrea.
«Si, sono sempre impiegato lì» risposi.
«Be non è male, è sempre un posto sicuro» disse Alex.
«Appunto, di questi tempi, il lavoro è un casino, meglio di niente» replicò Walter.
La serata stava prendendo una piega che non mi piaceva, tutti parlavano dei loro interessi come se esistesse solo quello nella vita, volevano farmi sentire frustrato, un fallito, in quel momento mi sentivo come un fenomeno da baraccone quando ad un certo punto non c’è la feci più di questo clima e mi misi in piedi al centro del salone, tutti mi guardavano e Alex mi chiese; «cosa fai in piedi fermo?», mi concentrai e iniziai ad elevarmi prima di qualche centimetro poi arrivai a mezzo metro, ero sospeso in mezzo alla stanza e tutti mi guardavano esterrefatti.
«Non ci credo! Quale trucco è questo?» esclamò Andrea ed io risposi; «ma quale trucco è tutto vero», Walter si alzò dal divano, si avvicinò e si chinò poi passò una mano tra il pavimento ed i miei piedi, come se nascondessi chissà quale rialzo trasparente, e la mano passò nel mezzo senza nessun impedimento.
Si alzarono tutti in piedi ed Alex disse; «ma questo è impressionante, come riesci a farlo?» ed io risposi «non lo so, so solo che posso farlo».
In quel momento mi sentivo bene, «ma quale scopo avrebbe questa cosa?» disse Andrea e Alex «si, infatti, a cosa servirebbe?» e Walter rispose con tono ironico «a saltare gli ostacoli o non prendere le buche», tutti risero ma io non mollavo ero ancora li a mezz’aria.
Tutta la serata proseguì a parlare della mia capacità di restare sospeso tutti cercavano di capire a cosa sarebbe potuto servire ma io non davo molta importanza a questo, ci salutammo e tornai a casa.
Erano settimane che Tom non lavorava, la proprietaria dell’appartamento premeva per l’affitto del mese precedente e lui architettava scuse per rimandare il pagamento. Si prospettava un periodo nero per Tom, bollette scadute, frigo vuoto, rifletteva su come avrebbe potuto riempirlo prima ancora che pagare le utenze e la pigione.
Tom finì gli studi laureandosi a pieni voti e lavorò in un supermercato prima che lo licenziassero a causa della fine del contratto. Viveva in una piccola casa cadente di periferia, era sporca e disordinata da quando perse il lavoro.
Un giorno chiuso nel lembo della disperazione, quel tipo di disperazione che toglie qualsiasi identità e che deprime anche la persona più vitale, uscì di casa pensieroso e con un unico scopo.
Prese un mezzo pubblico per andare in centro e poi cambiare linea con uno pieno zeppo di turisti. Nel bus si stava pressati come sardine, non era necessario appendersi ai paletti di sostegno, tutti si sostenevano appoggiati gli uni a gli altri, ad ogni brusca frenata se ne cadeva uno ne sarebbero caduti tanti.
Tom entrò nella mischia spingendo e facendosi largo per poi fermarsi nel punto più affollato si piantò dietro un signore con un borsello, il suo viso diventò rosso, si sentiva osservato dalla gente che in realtà non lo considerava per niente. Il borsello dell’uomo era arretrato, proprio alla portata di Tom che in quel preciso momento sentì pompare adrenalina. Infilò la mano all’interno del borsello rovistando tra le cose, la sensazione che tutto sarebbe finito schifosamente male lo spingeva a non commettere errori, nulla era studiato a tavolino ma tutto estemporaneo, l’uomo girò la testa in direzione del conducente e Tom con la mano ancora nella borsa si tolse dalla visuale del tipo per non farsi vedere. Con le dita ancora al suo interno sentì un portafogli, lo afferrò e lo estrasse delicatamente portandolo nella tasca del suo giubbotto, in quel momento i battiti rallentarono ed entrò in uno stato di torpore, si sentiva leggero, il tempo intorno a lui si era fermato.
Scese dal bus e tornò nell’appartamento camminando per qualche chilometro, entrato in casa stramazzò sul divano senza togliersi il giubbotto, prese il portafogli dalla tasca, dentro c’erano quattrocento euro che a mala pena sarebbero bastate a pagare l’affitto. Si sentiva stravolto e incollato sul sofà, scoppiò a piangere.
La mattina seguente Tom si svegliò dopo aver trascorso la notte sul divano e si mise a cercare un lavoro, passò un’altra settimana ma nulla da fare il lavoro non c’era. Era riuscito a riempire il frigo con i soldi del furto e aveva ancora qualcosa da parte.
Quel giorno prese la stessa linea di trasporto, questa volta si mise dietro ad una signora, la sensazione che provava non era più la stessa del primo borseggio, era più sicuro di se, si sentiva invisibile come se nulla potesse andare storto, prese il portafogli dalla borsetta della donna e scese con disinvoltura dal mezzo, entrò dentro una libreria e aprì il portafogli, dentro c’erano duecento euro, fece un giro per i negozi del centro e si soffermò di fronte a una vetrina di giocattoli dove erano esposte repliche di pistole, stava valutando quale delle tante era più realistica e ne vide una che poteva fare al caso, entrò nel negozio per osservarla da vicino e la pagò.
Per Tom tutto il resto stava passando in secondo piano, la situazione gli stava sfuggendo di mano ma non se ne preoccupava, il tipo di vita passata non faceva più al caso suo era come un serpente che cambia pelle.
Tornato a casa scartò la pistola ad aria compressa giocandoci un po’ e la ripose.
Trascorsero altre settimane d’intensi borseggi, Tom era arrivato ad accumulare oltre duemila euro in tre settimane, chiamò la proprietaria dell’appartamento per pagarle il mese arretrato ma ne rimaneva ancora uno. Ormai l’attenzione per cercare lavoro era svanita nel nulla la sua vita era cambiata, lui non era più lo stesso.
Arrivato l’inverno aveva ammucchiato un bel po’ di soldi, acquistato una grande TV e saldato tutti i suo debiti, togliendosi nello stesso tempo sfizi di varia natura come prendere un gatto. Spesso pensava a come sarebbe finita e che vita avrebbe fatto se non avesse pagato tutti i debiti e senza che nessuno lo aiutasse, perché senza genitori e con parenti miserabili.
Era arrivato il giorno di pianificare un furto più grande, aveva preso di mira un piccolo supermercato facendo vari appostamenti e valutazioni su quanto denaro ci fosse stato nelle casse. Si era piazzato fuori dal minimarket appoggiato sul motorino, aveva un grosso giaccone e all’interno di questo custodiva la sua pistola giocattolo. Era l’ora di punta prima di sera, poco prima delle chiusure delle casse, quando il bottino è più ricco, in quel supermarket generalmente non passava quasi mai la vigilanza.
Parcheggiò il motorino lasciandolo acceso dietro l’angolo dell’edificio e passeggiando davanti al supermercato trovò il momento propizio per entrare, si mise cappello e passamontagna ed entrò;
«Dammi l’incasso!» disse con aria minacciosa alla cassiera puntandole la pistola contro.
La cassiera gelò, divenne bianca in volto, mentre l’altra cassa era vuota, in quel momento non c’erano clienti.
Tom dovette insistere perché la cassiera era paralizzata dalla paura, ma dopo il secondo tentativo aprì la cassa e gli mollo tutto l’incasso, Tom lo prese e scappo verso il motorino che lo attendeva acceso dietro l’angolo e fuggì, in quel momento mentre guidava si sentiva come un gatto che aveva rubato il cibo dalla tavola apparecchiata, tutto era avvenuto in una manciata di minuti, un senso di potere lo invadeva, lo scopo per lui era di provare questa sensazione anziché fare tutto ciò per sopravvivenza.
Rientrato a casa contò i soldi che erano più di quattromila euro, il colpo era andato a buon fine e sentendosi il Re di casa si mise sul divano e accese la TV, niente sembrava più preoccuparlo.
Passato un mese i soldi stavano finendo, spendeva tutto rapidamente e pagava regolarmente l’affitto, ormai era chiaro che doveva fare un altro colpo che sarebbe stato più remunerativo del borseggio.
Prese di mira un altro minimarket con molta dimestichezza pianificò tutto, sembrava portato per questo tipo di vita. Si appostò al solito ed entrò con la pistola spianta paralizzando la cassiera con l’arma, “come se il compito delle cassiere in quella situazione fosse stato d’immobilizzarsi davanti ad un’arma”. Nel momento in cuoi stava uscendo urtò contro una guardia giurata che stava entrando proprio in quell’istante, fuori c’era la camionetta della vigilanza, appena la vide andò nella direzione opposta dell’angolo dove lo avrebbe atteso lo scooter acceso, correva velocissimo e la guardia gli stava dietro gridandogli «fermati!», l’altro collega giurato partì anche lui all’inseguimento, ora erano in due a pedinarlo, Tom era stremato correva a più non posso nelle vie del quartiere, oramai le guardie stavano vicine, Tom correndo stringeva nella mano quella finta e ridicola pistola, come se potesse dargli sicurezza, voltò l’angolo e in quel momento sentendo di averla quasi scampata si girò per vedere se li avesse seminati e puntò involontariamente la pistola verso le guardie, una delle due sentendosi sotto mira estrasse la pistola ed esplose due colpi in direzione di Tom il quale si fermò bruscamente e cadde a terra. Un colpo di questi gli trapassò il torace mettendo fine all’estenuante corsa, le guardie accorsero e una di queste chiamò un’ambulanza ma per Tom non c’era più molto da fare.
La gente si riversò in strada, in molti accerchiarono il corpo di Tom che era steso a terra, immobile in posizione supina, la luce del lampione illuminava la sfondo come in una scena teatrale, e qualche voce fuoricampo esclamò; «è morto».
Nei giorni a seguire nessuno si accorse della mancanza di Tom tutti gli oggetti nel suo appartamento erano statici come fossero privi di vita e solo il gatto attese in vano i croccantini.